Muoversi 2 2023
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I NUOVI PARADIGMI DELL'”ECONOMIA DELLA FIDUCIA”

I NUOVI PARADIGMI DELL’“ECONOMIA DELLA FIDUCIA” 

di Rosario Cerra e Francesco Crespi

Rosario Cerra

Fondatore e Presidente del Centro Economia Digitale

Francesco Crespi

Direttore Ricerche del Centro Economia Digitale Università Roma Tre

Globalizzazione e digitalizzazione, unite alla disponibilità di manodopera, capitale e materie prime a basso costo, hanno garantito negli ultimi decenni la stabilità dei prezzi in un contesto di elevata crescita mondiale. Oggi assistiamo a un cambio di paradigma nell’economia mondiale il cui segnale più evidente è rappresentato dal ritorno dell’inflazione.

Il processo di costruzione di una “Economia della Fiducia” non avverrà tuttavia a costo zero. Le imprese non potranno più organizzare la propria produzione considerando semplicemente dove i costi sono più bassi, ma le proprie scelte saranno vincolate da elementi geopolitici che definiranno il nuovo perimetro in cui potersi muovere

Il processo di globalizzazione avvenuto negli ultimi decenni ha, infatti, accresciuto enormemente il grado di interdipendenza sistemica dei vari Paesi favorendo, attraverso gli scambi e la specializzazione produttiva, la crescita dell’economia mondiale, ma anche innescando squilibri economici, finanziari, sociali, ambientali e geopolitici di grande portata.

La globalizzazione ha anche stimolato l’emergere di forti dipendenze strutturali, di cui quella relativa alla produzione di energia si è manifestata di recente come la più evidente. Più in generale, l’accresciuta interdipendenza delle economie ha generato le tensioni strutturali sui prezzi che oggi osserviamo sotto forma di elevata inflazione, aggravata dagli effetti dell’aggressione militare della Russia all’Ucraina.

Nell’attuale fase, la fine del gas russo a basso costo, la spinta globale verso la sostenibilità ambientale, l’accorciamento delle catene del valore e l’avvio di processi di re-industrializzazione dell’Occidente ci stanno portando verso un Mondo che potrebbe essere strutturalmente più inflazionistico, almeno nel breve (ma, a quanto pare, non brevissimo) termine.

Allungando lo sguardo, è ancora troppo presto per dire come andrà a finire, ma si possono già vedere segnali di cambiamento nell’ordine mondiale e di riconversione delle economie dei sistemi occidentali verso un modello che possiamo definire di “Economia della Fiducia”.

La prima fase di questa transizione è rappresentata dal passaggio dalla dipendenza alla diversificazione nelle forniture. Ne abbiamo avuto un esempio chiaro negli sforzi realizzati dai Governi italiani per stringere accordi per sostituire la fornitura di gas dalla Russia. In realtà, è un processo avviato già prima del conflitto da molte imprese che, appresa la lezione della pandemia, puntano a ridurre la dipendenza da catene di approvvigionamento globali di tipo lineare e ad aumentare la diversificazione dei fornitori.

Il passaggio successivo consisterà in una prevedibile maggiore frammentazione dell’economia a livello globale, a cui corrisponderà una crescente integrazione a livello regionale. Non si tratta della fine della globalizzazione, ma di una radicale modifica della sua architettura, in cui gruppi fortemente integrati di paesi che condividono uno stesso sistema di valori e/o interessi, competono tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale.

Il processo di costruzione di una “Economia della Fiducia” non avverrà tuttavia a costo zero. Le imprese non potranno più organizzare la propria produzione considerando semplicemente dove i costi sono più bassi, ma le proprie scelte saranno vincolate da elementi geopolitici che definiranno il nuovo perimetro in cui potersi muovere. Significa quindi che i criteri di efficienza saranno in parte sostituiti da quelli di fiducia, con la conseguenza che i costi legati a una ristrutturazione dell’offerta su base “regionale” e “fiduciaria” saranno significativi.

In questo contesto un secondo cambio di paradigma si sta realizzando. Siamo infatti di fronte al ritorno della politica industriale, ovvero l’abbandono della strategia non interventista dei governi nazionali che si erano affidati negli ultimi decenni all’azione autonoma delle forze di mercato su scala globale.

I 369 miliardi di dollari di incentivi previsti dall’Inflation Reduction Act approvato negli Stati Uniti, destinati ad investimenti verdi e alla sicurezza energetica del Paese, sono solo l’ultimo esempio in questa direzione. Si tratta del più grande piano contro il cambiamento climatico mai realizzato negli USA, perdipiù caratterizzato da una chiara impronta protezionistica.

In un colpo solo gli Stati Uniti hanno messo in chiaro due punti fondamentali: 1) l’importanza strategica della transizione energetica e 2) la scelta di perseguire il raggiungimento degli obiettivi ambientali sviluppando adeguate capacità tecnologiche e produttive internamente.

Prendendo atto che l’accelerazione nella diffusione delle energie rinnovabili solleva enormi problemi dal punto di vista delle dipendenze da Paesi terzi, viene adottata una strategia “make” invece che una strategia “buy”, anche al costo di rinunciare ai vantaggi della libera concorrenza internazionale in termini di maggiore efficienza e minori costi

In altre parole, prendendo atto che l’accelerazione nella diffusione delle energie rinnovabili solleva enormi problemi dal punto di vista delle dipendenze da Paesi terzi, viene adottata una strategia “make” invece che una strategia “buy”, anche al costo di rinunciare ai vantaggi della libera concorrenza internazionale in termini di maggiore efficienza e minori costi.

La risposta dell’Unione europea all’IRA non è sembrata del tutto soddisfacente. Si prevede infatti una riorganizzazione del quadro normativo sugli Aiuti di Stato, un più efficace e indirizzato utilizzo dei fondi già disponibili e, in prospettiva, il varo di un Fondo di Sovranità europeo ancora tutto da definire. Non molto, in verità, in un contesto in cui USA e Cina già stanno investendo centinaia di miliardi per sostenere la propria competitività tecnologica e produttiva.

In questa fase storica caratterizzata da incertezza, in cui il tema della sicurezza del sistema energetico è sempre più centrale è, invece, necessario adottare politiche più incisive da parte dei Paesi dell’Unione europea e delle Istituzioni comunitarie. Occorre, in particolare, confermare e rilanciare gli sforzi sugli obiettivi di decarbonizzazione, adottando un approccio tecnologicamente neutro in grado di combinare diverse soluzioni e valorizzare tutte le tecnologie di decarbonizzazione sulla base dell’efficacia e dell’efficienza del contributo che possono offrire, garantendo la stabilità e la sicurezza del sistema energetico nel processo di transizione.

In questo scenario sarà quindi fondamentale porre in essere uno sforzo collettivo, in Italia e in Europa, per garantire la sostenibilità e la sicurezza del sistema energetico attraverso un processo di profonda trasformazione tecnologica e industriale, avendo ben presente l’obiettivo di evitare di passare da una dipendenza all’altra. Obiettivo che potrà essere realizzato attraverso il potenziamento delle capacità tecnologiche e produttive italiane ed europee, puntando su un ampio portafoglio di tecnologie ed evitando di fare affidamento nelle catene di fornitura su un numero troppo ristretto di paesi.